Revenge porn: volontà di umiliare e dolo specifico nel reato di diffusione illecita di immagini sessuali

Pubblicato il 6 dicembre 2025 alle ore 19:39

a cura dell'Avv. Daniele Golini Il revenge porn rappresenta una delle forme più insidiose di violenza di genere nell'era digitale, configurandosi come un fenomeno criminale che colpisce prevalentemente le donne attraverso la diffusione non consensuale di contenuti intimi. L'articolo 612-ter del Codice Penale, introdotto nel 2019, ha fornito una risposta normativa specifica a questa forma di violenza, delineando una fattispecie che tutela non solo l'onore e la reputazione, ma soprattutto la libertà di autodeterminazione sessuale e la sfera di intimità della persona.

INDICE

 

Il quadro normativo del revenge porn: elementi costitutivi del reato

La natura plurioffensiva del delitto e i beni giuridici tutelati

L'elemento soggettivo: dolo generico e dolo specifico nelle diverse fattispecie

La volontà di umiliare come movente psicologico del reato

Il rancore come motore dell'azione criminosa

L'elemento psicologico del dolo specifico di nocumento

Le aggravanti e la particolare vulnerabilità della vittima

L'orientamento giurisprudenziale consolidato

Aspetti probatori e processuali

Conclusioni

 

Il quadro normativo del revenge porn: elementi costitutivi del reato

L'articolo 612-ter del Codice Penale disciplina il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, comunemente noto come revenge porn, attraverso una struttura normativa articolata che distingue due diverse fattispecie criminose. La prima, contenuta nel primo comma, punisce chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate. La seconda fattispecie, prevista dal secondo comma, sanziona chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video, li diffonde senza consenso al fine di recare nocumento.

La norma incriminatrice presenta una struttura complessa che riflette la necessità di coprire tutte le possibili modalità attraverso cui può manifestarsi questo fenomeno criminoso. Come evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, il delitto tutela la sfera di intimità e di autodeterminazione sessuale della persona, non richiedendo necessariamente che la vittima sia riconoscibile dalle immagini o dai video diffusi. È sufficiente la diffusione non consensuale di contenuti sessualmente espliciti che la riguardano, anche qualora la persona offesa non sia identificabile da parte dei destinatari.

L'elemento oggettivo del reato si caratterizza per la presenza di condotte alternative di invio, consegna, cessione, pubblicazione o diffusione di materiale a contenuto sessualmente esplicito. La giurisprudenza ha chiarito che per contenuto sessualmente esplicito deve intendersi non solo quello raffigurante amplessi, ma anche corpi nudi con genitali in mostra o altre parti erogene del corpo umano, come i seni o i glutei, nudi o in condizioni e contesto tali da evocare la sessualità.

Un aspetto fondamentale della fattispecie riguarda il requisito che le immagini o i video siano destinati a rimanere privati. Questo elemento qualifica la natura intima del materiale e distingue la condotta criminosa dalla legittima diffusione di contenuti già pubblici. La destinazione alla riservatezza deve essere valutata al momento della realizzazione del materiale, indipendentemente dalle successive vicende che possano aver coinvolto le immagini.

Il consenso della persona rappresentata costituisce l'elemento discriminante tra condotta lecita e illecita. Come precisato dalla Suprema Corte, il delitto si configura quando la persona offesa non abbia prestato consenso alla divulgazione delle proprie immagini sessuali, a prescindere dal fatto che abbia acconsentito a farsi ritrarre o riprendere, purché il consenso non riguardi anche la divulgazione. La distinzione tra consenso alla realizzazione e consenso alla diffusione rappresenta un elemento cruciale per la corretta applicazione della norma.

La clausola di riserva "salvo che il fatto costituisca più grave reato" evidenzia il carattere sussidiario della fattispecie rispetto ad altri delitti che potrebbero concorrere, come la violenza sessuale, gli atti persecutori o i reati contro l'onore. Questa previsione consente al giudice di applicare la norma più grave quando la condotta integri contemporaneamente più fattispecie criminose.

La natura plurioffensiva del delitto e i beni giuridici tutelati

Il delitto di revenge porn presenta una natura spiccatamente plurioffensiva, tutelando simultaneamente diversi beni giuridici fondamentali della persona. Come riconosciuto dalla giurisprudenza consolidata, il reato protegge non solo l'onore e la reputazione della vittima, ma anche la libertà di autodeterminazione, anche sessuale, nella sfera intima della persona. Questa molteplicità di interessi tutelati riflette la complessità del fenomeno e la sua capacità di aggredire diversi aspetti della personalità umana.

La libertà di autodeterminazione sessuale rappresenta il bene giuridico primario tutelato dalla norma. Secondo l'orientamento giurisprudenziale maggioritario, questo diritto si sostanzia nella facoltà di ogni individuo di controllare l'esposizione del proprio corpo e della propria sessualità, decidendo autonomamente se, come e quando condividere contenuti di natura intima. La violazione di questa libertà attraverso la diffusione non consensuale di materiale sessualmente esplicito costituisce un'aggressione diretta alla dignità e all'autonomia della persona.

La sfera della privacy e della riservatezza costituisce un ulteriore ambito di tutela della norma incriminatrice. Il diritto alla riservatezza, costituzionalmente garantito, comprende la facoltà di mantenere riservati aspetti della propria vita privata, specialmente quelli attinenti alla sfera sessuale e affettiva. La diffusione non autorizzata di contenuti intimi rappresenta una violazione grave di questo diritto, con conseguenze spesso devastanti per la vita sociale e professionale della vittima.

L'onore e la reputazione, tradizionalmente tutelati dai reati contro la persona, trovano una protezione specifica nel contesto del revenge porn. La diffusione di immagini intime senza consenso comporta inevitabilmente un danno alla considerazione sociale della vittima, alimentando pregiudizi e stereotipi che colpiscono particolarmente le donne. La giurisprudenza ha riconosciuto che questo tipo di condotta genera un danno reputazionale spesso irreversibile, amplificato dalla natura virale della diffusione digitale.

La dignità personale rappresenta il valore fondamentale che sottende tutti gli altri beni tutelati. Come evidenziato dalle corti di merito, la diffusione non consensuale di contenuti intimi costituisce una forma di oggettivazione della persona, riducendola a mero oggetto di consumo sessuale. Questa degradazione della dignità umana assume particolare gravità quando si inserisce in dinamiche di controllo e dominio tipiche della violenza di genere.

La sicurezza psicologica e l'integrità emotiva della vittima costituiscono ulteriori profili di tutela. Le conseguenze psicologiche del revenge porn sono spesso devastanti, comportando stati di ansia, depressione, isolamento sociale e, nei casi più gravi, ideazioni suicidarie. La giurisprudenza ha riconosciuto che questi effetti configurano un vero e proprio danno alla salute psichica della persona, meritevole di specifica tutela penale.

L'equilibrio delle relazioni interpersonali e la fiducia nelle relazioni intime rappresentano beni collettivi che la norma contribuisce a proteggere. La criminalizzazione del revenge porn mira a preservare la possibilità per le persone di vivere relazioni affettive e sessuali libere dalla paura che contenuti intimi possano essere utilizzati come strumento di ricatto o vendetta.

L'elemento soggettivo: dolo generico e dolo specifico nelle diverse fattispecie

L'elemento soggettivo del delitto di revenge porn presenta una struttura differenziata che riflette la distinzione tra le due fattispecie previste dall'articolo 612-ter del Codice Penale. Questa diversificazione nell'elemento psicologico del reato risponde alla necessità di graduare la responsabilità penale in base al diverso grado di coinvolgimento dell'agente nella produzione o acquisizione del materiale illecitamente diffuso.

La fattispecie del primo comma, relativa a chi abbia realizzato o sottratto le immagini o i video, richiede il solo dolo generico. Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, questo consiste nella consapevolezza e volontà di diffondere immagini o video a contenuto sessualmente esplicito destinati a rimanere privati senza il consenso delle persone rappresentate. L'agente deve essere consapevole della natura sessualmente esplicita del materiale, della sua destinazione alla riservatezza e dell'assenza del consenso alla diffusione da parte della persona ritratta.

Il dolo generico non richiede la presenza di specifiche finalità ulteriori rispetto alla mera volontà di diffondere il materiale. È sufficiente che l'agente sia consapevole del carattere illecito della propria condotta, indipendentemente dai motivi che lo spingono ad agire. Questa impostazione riflette la volontà del legislatore di sanzionare qualsiasi forma di diffusione non consensuale, prescindendo dalle motivazioni soggettive dell'autore.

La fattispecie del secondo comma presenta invece una struttura soggettiva più complessa, richiedendo il dolo specifico di arrecare nocumento al soggetto rappresentato. Come precisato dalla Suprema Corte, chi abbia ricevuto o comunque acquisito tali immagini o video deve diffonderli con la specifica finalità di danneggiare la persona ritratta. Questa differenziazione risponde alla considerazione che chi non ha partecipato alla produzione del materiale presenta un minor grado di coinvolgimento nella violazione della privacy altrui.

Il dolo specifico di nocumento richiede la presenza di una finalità ulteriore rispetto alla mera volontà di diffondere il materiale. L'agente deve agire con l'intenzione di arrecare un danno alla vittima, sia esso di natura morale, sociale, professionale o psicologica. Secondo l'orientamento consolidato, il nocumento può consistere in qualsiasi pregiudizio alla sfera personale, sociale o professionale della persona offesa.

La giurisprudenza ha chiarito che il dolo specifico di nocumento non è escluso dalla presenza di finalità ulteriori perseguite dall'agente quando il nocumento stesso costituisce lo strumento necessario per il conseguimento del fine ultimo avuto di mira. Come evidenziato dalla Cassazione, il nocumento si configura come scopo immediato rispetto allo scopo mediato perseguito dall'autore del reato. Questa interpretazione consente di ricomprendere nella fattispecie anche i casi in cui la diffusione sia finalizzata a ottenere vantaggi o a esercitare pressioni sulla vittima.

La prova dell'elemento soggettivo può essere desunta dalle modalità concrete di realizzazione della condotta, dalle dichiarazioni dell'agente, dal contesto in cui avviene la diffusione e dalle relazioni intercorrenti tra autore e vittima. Particolare rilevanza assumono le circostanze temporali della diffusione, spesso coincidenti con la fine di una relazione sentimentale o con episodi conflittuali tra le parti.

L'errore sull'elemento soggettivo può assumere diverse forme. L'errore sul consenso alla diffusione esclude il dolo quando sia scusabile e derivi da circostanze oggettive che possano aver ingenerato il convincimento della liceità della condotta. Tuttavia, la giurisprudenza si mostra rigorosa nel valutare la scusabilità dell'errore, considerando che la natura intima del materiale dovrebbe indurre particolare cautela nell'agente.

La volontà di umiliare come movente psicologico del reato

La volontà di umiliare rappresenta uno degli elementi psicologici più significativi e ricorrenti nel fenomeno del revenge porn, configurandosi come il movente principale che spinge l'autore del reato a diffondere contenuti intimi senza consenso. Questa finalità umiliante si inserisce in una dinamica di potere e controllo che caratterizza molte forme di violenza di genere, trovando nel revenge porn una modalità particolarmente insidiosa di manifestazione.

L'umiliazione come obiettivo dell'azione criminosa si manifesta attraverso la volontà di degradare la vittima, riducendola a oggetto di scherno e disprezzo pubblico. Come evidenziato dalle corti di merito, questa finalità si realizza attraverso l'esposizione non consensuale della sfera più intima della persona, violando la sua dignità e la sua autodeterminazione sessuale. L'umiliazione diventa così lo strumento attraverso cui l'agente esercita una forma di dominio sulla vittima, perpetuando dinamiche di controllo anche dopo la fine di una relazione.

La dimensione psicologica dell'umiliazione nel revenge porn presenta caratteristiche peculiari che la distinguono da altre forme di violenza. L'utilizzo di contenuti intimi precedentemente condivisi in un contesto di fiducia e intimità amplifica l'effetto umiliante, trasformando momenti di vulnerabilità e condivisione in armi di offesa. Questa strumentalizzazione della fiducia rappresenta una forma particolarmente grave di tradimento che aggrava il danno psicologico inflitto alla vittima.

L'elemento dell'umiliazione assume particolare rilevanza nell'ambito delle relazioni sentimentali terminate. Secondo l'orientamento giurisprudenziale consolidato, la diffusione di contenuti intimi spesso rappresenta una forma di vendetta per la fine della relazione, con l'obiettivo di punire la ex partner attraverso la sua pubblica umiliazione. Questa dinamica rivela la concezione possessiva della relazione da parte dell'agente, che considera la diffusione come un modo per riaffermare il proprio controllo sulla vittima.

La volontà di umiliare si manifesta anche attraverso le modalità concrete di diffusione del materiale. La scelta dei destinatari, dei canali di diffusione e del momento in cui avviene la divulgazione rivela spesso l'intenzione di massimizzare l'effetto umiliante. Come rilevato dalla giurisprudenza di merito, la diffusione presso familiari, colleghi di lavoro o conoscenti della vittima evidenzia chiaramente la finalità di danneggiare la sua reputazione e di causarle il maggior imbarazzo possibile.

L'aspetto dell'umiliazione presenta anche una dimensione di genere particolarmente significativa. Le donne vittime di revenge porn subiscono spesso una forma di vittimizzazione secondaria basata su stereotipi e pregiudizi che le colpevolizzano per aver condiviso contenuti intimi. Questa dinamica amplifica l'effetto umiliante dell'azione criminosa, inserendola in un contesto culturale che tende a stigmatizzare la sessualità femminile.

La giurisprudenza ha riconosciuto che la volontà di umiliare può configurare un'aggravante morale del reato, anche quando non espressamente prevista dalla legge. L'articolo 61 del Codice Penale prevede tra le circostanze aggravanti comuni l'aver agito per motivi abietti, categoria in cui può rientrare la finalità umiliante quando si manifesti con particolare spregiudicatezza e crudeltà.

L'umiliazione come movente del revenge porn si collega strettamente alla dimensione del controllo coercitivo, fenomeno riconosciuto dalla criminologia come caratteristico della violenza domestica e di genere. Attraverso la minaccia o l'effettiva diffusione di contenuti intimi, l'agente mantiene un controllo psicologico sulla vittima, condizionandone i comportamenti e le scelte di vita anche dopo la fine della relazione.

Il rancore come motore dell'azione criminosa

Il rancore rappresenta il motore emotivo principale che alimenta la condotta criminosa nel revenge porn, configurandosi come il sentimento di risentimento e vendetta che spinge l'autore del reato a utilizzare contenuti intimi come strumento di offesa. Questa dimensione emotiva del crimine rivela la natura profondamente personale e vendicativa del fenomeno, distinguendolo da altre forme di diffusione illecita di materiale sessualmente esplicito.

La genesi del rancore nel contesto del revenge porn si radica spesso nella difficoltà dell'agente di accettare la fine di una relazione sentimentale o il rifiuto da parte della vittima. Come evidenziato dalla giurisprudenza di merito, il sentimento di abbandono e di ferita narcisistica si trasforma in desiderio di vendetta, trovando nella diffusione di contenuti intimi un mezzo particolarmente efficace per infliggere sofferenza alla ex partner. Questa dinamica rivela una concezione possessiva e strumentale della relazione, in cui la donna viene percepita come proprietà dell'uomo.

Il rancore come movente del revenge porn presenta caratteristiche psicologiche specifiche che lo distinguono da altre forme di aggressività. Si tratta di un sentimento duraturo e persistente, che si alimenta nel tempo attraverso la ruminazione mentale e la pianificazione della vendetta. A differenza dell'ira momentanea, il rancore comporta una premeditazione dell'azione criminosa, con la ricerca delle modalità più efficaci per danneggiare la vittima.

La dimensione temporale del rancore assume particolare rilevanza nell'analisi del fenomeno. Come rilevato dalle corti di merito, la diffusione di contenuti intimi avviene spesso a distanza di tempo dalla fine della relazione, quando il sentimento di risentimento ha avuto modo di consolidarsi e di trasformarsi in desiderio di vendetta. Questa dilazione temporale evidenzia il carattere premeditato dell'azione e la volontà di infliggere il massimo danno possibile alla vittima.

Il rancore nel revenge porn si manifesta attraverso modalità specifiche che rivelano l'intenzione di massimizzare la sofferenza della vittima. La scelta del momento della diffusione, spesso coincidente con eventi importanti nella vita della donna (nuovo lavoro, nuova relazione, eventi familiari), evidenzia la volontà di rovinare momenti significativi e di perpetuare il controllo sulla vita della ex partner.

La giurisprudenza ha riconosciuto che il rancore può configurare un'aggravante del reato quando si manifesti attraverso modalità particolarmente crudeli o quando sia accompagnato da altre condotte persecutorie. L'articolo 612-bis del Codice Penale sugli atti persecutori trova spesso applicazione in concorso con il revenge porn, quando la diffusione di contenuti intimi si inserisce in un più ampio quadro di molestie e minacce.

Il rancore come motore dell'azione criminosa presenta anche una dimensione di genere significativa. Le ricerche criminologiche evidenziano come gli uomini tendano a manifestare il rancore attraverso forme di aggressività esternalizzata, utilizzando la violenza o la minaccia come strumento di controllo. Nel revenge porn, questa aggressività si manifesta attraverso la violazione della privacy e della dignità della ex partner, con l'obiettivo di ristabilire simbolicamente il proprio dominio.

La persistenza del rancore nel tempo può comportare la reiterazione della condotta criminosa, con nuove diffusioni di materiale o con l'utilizzo di canali diversi per raggiungere un pubblico più ampio. Come evidenziato dalla giurisprudenza, questa reiterazione configura spesso il reato continuato, con conseguente aggravamento del trattamento sanzionatorio.

Il rancore nel revenge porn si alimenta anche attraverso la percezione dell'impunità e dell'efficacia dell'azione criminosa. La consapevolezza di aver causato sofferenza alla vittima e di aver danneggiato la sua reputazione può rafforzare il sentimento di vendetta, spingendo l'agente a perpetuare la condotta o a intensificarla attraverso modalità sempre più invasive.

L'elemento psicologico del dolo specifico di nocumento

L'elemento psicologico del dolo specifico di nocumento rappresenta uno degli aspetti più complessi e dibattuti nella disciplina del revenge porn, richiedendo un'analisi approfondita della finalità che deve animare l'agente per la configurabilità del reato nella fattispecie del secondo comma dell'articolo 612-ter del Codice Penale. Questa specifica intenzione di danneggiare distingue la condotta di chi ha ricevuto il materiale da terzi rispetto a chi lo ha originariamente prodotto o sottratto.

Il nocumento richiesto dalla norma deve essere inteso in senso ampio, comprensivo di qualsiasi forma di pregiudizio che possa derivare alla vittima dalla diffusione non consensuale di contenuti intimi. Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, il danno può essere di natura morale, sociale, professionale, economica o psicologica, non richiedendo necessariamente una quantificazione economica o una dimostrazione di effetti concreti. È sufficiente che l'agente agisca con la consapevolezza che la propria condotta possa arrecare pregiudizio alla persona ritratta.

La finalità di nocumento deve essere presente al momento della diffusione e deve costituire il motivo determinante dell'azione. Secondo l'orientamento consolidato della Suprema Corte, non è necessario che il nocumento rappresenti l'unico scopo perseguito dall'agente, essendo sufficiente che costituisca una delle finalità della condotta, purché non meramente accessoria o marginale. Questa interpretazione consente di ricomprendere nella fattispecie anche i casi in cui la diffusione sia motivata da obiettivi multipli.

La giurisprudenza ha precisato che il dolo specifico di nocumento non è escluso dalla presenza di finalità ulteriori perseguite dall'agente quando il nocumento stesso costituisce lo strumento necessario per il conseguimento del fine ultimo avuto di mira. Come evidenziato dalla Cassazione in una recente pronuncia, "il dolo specifico di nocumento non è escluso dalla presenza di finalità ulteriori perseguite dall'agente quando il nocumento stesso costituisce lo strumento necessario per il conseguimento del fine ultimo avuto di mira, configurandosi come scopo immediato rispetto allo scopo mediato perseguito".

L'accertamento del dolo specifico richiede un'analisi delle circostanze concrete del caso, con particolare attenzione alle modalità di diffusione, al contesto in cui avviene la condotta e alle relazioni intercorrenti tra agente e vittima. La giurisprudenza di merito ha individuato diversi indici sintomatici della presenza dell'intenzione di nuocere: la diffusione presso persone conosciute dalla vittima, l'utilizzo di canali che garantiscano la massima visibilità, l'accompagnamento del materiale con commenti denigratori, la reiterazione della condotta nel tempo.

La prova del dolo specifico può essere fornita attraverso elementi diretti, come dichiarazioni dell'agente o messaggi che rivelino l'intenzione di danneggiare la vittima, o attraverso elementi indiretti, desumibili dalle modalità concrete di realizzazione della condotta. Particolare rilevanza assumono le circostanze temporali della diffusione, spesso coincidenti con momenti di conflitto o di particolare vulnerabilità della vittima.

L'elemento psicologico del nocumento presenta anche una dimensione predittiva, nel senso che l'agente deve essere in grado di prevedere le conseguenze dannose della propria condotta. Questa prevedibilità non richiede una conoscenza specifica degli effetti che si produrranno, ma la consapevolezza generale che la diffusione di contenuti intimi senza consenso comporta normalmente un pregiudizio per la persona ritratta.

La giurisprudenza ha chiarito che il dolo specifico di nocumento può essere presente anche quando l'agente agisca con finalità apparentemente diverse, come il desiderio di riallacciare una relazione sentimentale o di ottenere vantaggi economici. In questi casi, il nocumento si configura come mezzo per raggiungere l'obiettivo finale, mantenendo la sua rilevanza ai fini della configurabilità del reato.

L'assenza del dolo specifico comporta l'inapplicabilità della fattispecie del secondo comma, ma non esclude necessariamente la rilevanza penale della condotta, che potrebbe essere sussunta in altre fattispecie criminose. La diffusione di materiale sessualmente esplicito senza l'intenzione di nuocere potrebbe configurare altri reati, come la violazione della privacy o reati contro l'onore, a seconda delle circostanze concrete del caso.

Le aggravanti e la particolare vulnerabilità della vittima

Il sistema delle aggravanti previsto dall'articolo 612-ter del Codice Penale riflette la particolare attenzione del legislatore verso le situazioni di maggiore vulnerabilità della vittima e verso le modalità di commissione del reato che comportano un incremento del disvalore della condotta. Queste circostanze aggravanti concorrono a delineare un quadro sanzionatorio differenziato che tiene conto della gravità concreta del fatto e delle sue implicazioni per la vittima.

L'aggravante della relazione affettiva, prevista dal terzo comma, comporta un aumento di pena quando i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa. Questa circostanza aggravante riconosce la particolare gravità del tradimento della fiducia che caratterizza il revenge porn quando è perpetrato da chi ha avuto accesso ai contenuti intimi in virtù di una relazione di intimità e confidenza.

La giurisprudenza ha chiarito che l'aggravante della relazione affettiva non presuppone necessariamente una stabile condivisione della vita comune, ma richiede un legame connotato da un reciproco rapporto di fiducia tale da ingenerare nella persona offesa aspettative di protezione, che non abbia carattere di occasionalità o di fugace estemporaneità. Come precisato dalla Suprema Corte, tale nozione si differenzia da quella rilevante in materia di maltrattamenti in famiglia, dove la relazione affettiva implica convivenza stabile e condivisione di un percorso comune di vita.

L'aggravante dell'utilizzo di strumenti informatici o telematici riconosce la particolare insidiosità della diffusione digitale, che comporta una potenziale amplificazione illimitata della condotta e una persistenza nel tempo degli effetti dannosi. Secondo l'orientamento consolidato, questa aggravante sussiste anche quando tali strumenti siano impiegati per comunicazioni dirette a soggetti terzi anziché alla persona offesa, purché funzionali alla complessiva condotta di diffusione.

Il quarto comma prevede un ulteriore aumento di pena quando i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza. Questa disposizione riconosce la particolare vulnerabilità di determinate categorie di vittime e la conseguente maggiore gravità della condotta quando sia diretta contro soggetti che si trovano in condizioni di particolare fragilità.

La condizione di inferiorità fisica o psichica deve essere valutata in concreto, con riferimento alla specifica situazione della vittima al momento della commissione del reato. Come evidenziato dalla giurisprudenza di merito, questa condizione può derivare da patologie permanenti o temporanee, da situazioni di dipendenza o da altre circostanze che limitino la capacità di autodeterminazione della persona offesa.

L'aggravante relativa alla donna in stato di gravidanza riflette la particolare tutela che l'ordinamento riserva alla maternità e riconosce la maggiore vulnerabilità psicologica che caratterizza questo periodo della vita femminile. La diffusione di contenuti intimi durante la gravidanza può comportare conseguenze particolarmente gravi per la salute psico-fisica della donna e del nascituro.

Le aggravanti comuni previste dall'articolo 61 del Codice Penale trovano frequente applicazione nel contesto del revenge porn. Particolare rilevanza assume l'aggravante dei motivi abietti, che può configurarsi quando la condotta sia motivata da sentimenti di vendetta, gelosia o possesso particolarmente spregiudicati. L'aggravante dell'abuso di relazioni domestiche o di coabitazione può applicarsi quando la diffusione avvenga sfruttando la particolare posizione di fiducia derivante dalla convivenza.

La giurisprudenza ha riconosciuto che l'utilizzo di mezzi particolarmente insidiosi o la diffusione presso un numero elevato di persone può configurare l'aggravante dell'aver aggravato le conseguenze del delitto commesso. Questa circostanza trova applicazione quando l'agente ponga in essere condotte ulteriori rispetto alla mera diffusione, finalizzate ad amplificare gli effetti dannosi per la vittima.

L'aggravante della premeditazione, pur non espressamente prevista per questo reato, può essere desunta dalle modalità concrete di realizzazione della condotta quando emerga una particolare pianificazione dell'azione criminosa. La preparazione di account falsi, la raccolta di contatti della vittima, la scelta del momento più opportuno per la diffusione possono costituire indici di premeditazione.

L'orientamento giurisprudenziale consolidato

L'orientamento giurisprudenziale in materia di revenge porn ha raggiunto un sostanziale consolidamento sui principali aspetti interpretativi della fattispecie, fornendo indicazioni chiare per l'applicazione pratica della norma. La giurisprudenza di legittimità ha affrontato le principali questioni controverse, delineando principi interpretativi che orientano l'attività dei giudici di merito e garantiscono uniformità nell'applicazione della legge.

Secondo la giurisprudenza maggioritaria, il delitto di diffusione illecita di immagini sessualmente espliciti tutela la sfera di intimità e di autodeterminazione sessuale della persona, non richiedendo che la vittima sia riconoscibile dalle immagini o dai video diffusi. Come chiarito dalla Suprema Corte, è sufficiente la diffusione non consensuale di contenuti sessualmente espliciti che riguardano la persona offesa, anche qualora questa non sia identificabile da parte dei destinatari. Questo orientamento amplia significativamente l'ambito di tutela della norma, ricomprendendo anche i casi in cui l'identificazione della vittima non sia immediata.

La giurisprudenza ha precisato che il delitto si configura quando la persona offesa non abbia prestato consenso alla divulgazione delle proprie immagini sessuali, a prescindere dal fatto che abbia acconsentito a farsi ritrarre o riprendere, purché il consenso non riguardi anche la divulgazione. Questa distinzione tra consenso alla realizzazione e consenso alla diffusione rappresenta un principio fondamentale per la corretta applicazione della norma, consentendo di tutelare anche le vittime che abbiano volontariamente partecipato alla creazione del materiale.

Le corti di merito hanno sviluppato un orientamento consolidato sulla configurabilità del reato anche quando la diffusione avvenga attraverso la creazione di profili falsi sui social network utilizzando nome e fotografie intime della vittima. Come evidenziato dalla giurisprudenza, questa condotta integra contemporaneamente il delitto di revenge porn e quello di sostituzione di persona, quando la modalità di creazione del profilo renda questo pacificamente riconducibile alla persona ritratta.

La giurisprudenza ha chiarito che il delitto può configurarsi anche quando le immagini o i video siano stati acquisiti dalla stessa persona ritratta e da questa pubblicati su piattaforme ad accesso riservato mediante registrazione, qualora la successiva diffusione avvenga al di fuori di tale contesto originario e senza il consenso della persona rappresentata. Questo orientamento estende la tutela anche ai casi in cui il materiale sia stato originariamente condiviso in contesti controllati dalla vittima.

Secondo l'orientamento consolidato, la fattispecie del primo comma richiede il solo dolo generico, consistente nella consapevolezza e volontà di diffondere immagini o video a contenuto sessualmente esplicito destinati a rimanere privati senza il consenso delle persone rappresentate. La fattispecie del secondo comma richiede invece il dolo specifico di arrecare nocumento ai soggetti rappresentati, configurando una struttura soggettiva più complessa che tiene conto del diverso grado di coinvolgimento dell'agente.

La giurisprudenza di legittimità ha stabilito che il dolo specifico di nocumento non è escluso dalla presenza di finalità ulteriori perseguite dall'agente quando il nocumento stesso costituisce lo strumento necessario per il conseguimento del fine ultimo avuto di mira. Come precisato dalla Cassazione, il nocumento si configura come scopo immediato rispetto allo scopo mediato perseguito dall'autore del reato, consentendo di ricomprendere nella fattispecie anche i casi in cui la diffusione sia finalizzata a ottenere vantaggi o a esercitare pressioni sulla vittima.

Le corti di merito hanno sviluppato criteri consolidati per l'accertamento del dolo specifico, individuando diversi indici sintomatici della presenza dell'intenzione di nuocere: la diffusione presso persone conosciute dalla vittima, l'utilizzo di canali che garantiscano la massima visibilità, l'accompagnamento del materiale con commenti denigratori, la reiterazione della condotta nel tempo, la coincidenza temporale con momenti di conflitto o di particolare vulnerabilità della vittima.

La giurisprudenza ha riconosciuto la natura plurioffensiva del delitto, che tutela non solo l'onore e la reputazione della vittima, ma anche la libertà di autodeterminazione, anche sessuale, nella sfera intima della persona. Questa impostazione consente di applicare la norma anche quando il danno reputazionale non sia immediatamente evidente, purché sia dimostrata la violazione della sfera di autodeterminazione sessuale.

Aspetti probatori e processuali

Gli aspetti probatori e processuali del delitto di revenge porn presentano peculiarità significative che derivano dalla natura digitale del fenomeno e dalla particolare vulnerabilità delle vittime. La giurisprudenza ha sviluppato orientamenti specifici per affrontare le problematiche probatorie che caratterizzano questo tipo di reati, fornendo indicazioni operative per la corretta gestione del procedimento penale.

La prova della diffusione del materiale sessualmente esplicito può essere fornita attraverso diversi mezzi, tra cui screenshot delle conversazioni telematiche, testimonianze dei destinatari del materiale, acquisizione di dati informatici dai dispositivi degli indagati. Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, lo screenshot di conversazioni telematiche fornito agli inquirenti dal partecipante alla conversazione medesima non integra violazione della segretezza della corrispondenza, non trovando applicazione le garanzie previste per il sequestro di corrispondenza in itinere, trattandosi di comunicazioni già presenti sul dispositivo del soggetto che le consegna volontariamente.

L'acquisizione probatoria nel revenge porn richiede particolare attenzione alla tutela della dignità della vittima e alla riservatezza del materiale oggetto del reato. I tribunali hanno sviluppato protocolli specifici per evitare la vittimizzazione secondaria, limitando la circolazione del materiale agli operatori strettamente necessari per l'accertamento dei fatti e adottando misure tecniche per impedire la diffusione ulteriore durante il procedimento.

La prova dell'elemento soggettivo presenta aspetti di particolare complessità, specialmente per quanto riguarda l'accertamento del dolo specifico di nocumento nella fattispecie del secondo comma. La giurisprudenza ha individuato diversi elementi indiziari che possono supportare la prova dell'intenzione di danneggiare: le modalità di diffusione, il contesto temporale, le relazioni tra agente e vittima, le dichiarazioni rese dall'imputato, i messaggi scambiati prima e dopo la diffusione.

La testimonianza della persona offesa assume particolare rilevanza probatoria, ma deve essere valutata con le cautele previste dalla giurisprudenza consolidata per i reati che si consumano in ambito privato. Come evidenziato dalle corti di merito, le dichiarazioni della vittima possono costituire prova sufficiente per la condanna quando siano precise, circostanziate, coerenti e trovino riscontro in elementi esterni.

La querela della persona offesa presenta aspetti procedurali specifici che la giurisprudenza ha chiarito attraverso pronunce consolidate. Come precisato dalla Suprema Corte, ai fini della validità dell'atto non è necessario l'uso di formule sacramentali, restando irrilevante la qualifica assegnata alla dichiarazione dalla polizia giudiziaria ed essendo sufficiente la denuncia dei fatti e la chiara manifestazione della volontà della parte offesa di voler perseguire penalmente i fatti denunciati.

La remissione della querela è disciplinata dall'articolo 612-ter del Codice Penale, che prevede che possa essere soltanto processuale. La giurisprudenza ha chiarito che la previsione secondo cui vi è remissione tacita quando il querelante, senza giustificato motivo, non compare all'udienza alla quale è stato citato in qualità di testimone, non trova applicazione nel caso in cui la persona offesa non sia stata citata come teste in dibattimento perché le sue dichiarazioni rese in fase di indagini preliminari siano state acquisite con il consenso delle parti.

La procedibilità d'ufficio è prevista nei casi di cui al quarto comma, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio. Questa previsione riflette la particolare gravità delle condotte commesse in danno di soggetti vulnerabili e la necessità di garantire la perseguibilità anche quando la vittima non sia in grado di sporgere querela.

Le misure cautelari nel revenge porn richiedono una valutazione attenta delle esigenze di tutela della vittima e del pericolo di reiterazione del reato. La giurisprudenza ha riconosciuto che la natura digitale del fenomeno comporta un rischio elevato di reiterazione e di amplificazione degli effetti dannosi, giustificando l'adozione di misure cautelari anche in presenza di precedenti penali non specifici.

La costituzione di parte civile presenta aspetti peculiari legati alla quantificazione del danno non patrimoniale derivante dalla violazione della privacy e della dignità personale. Come chiarito dalla giurisprudenza più recente, l'atto di costituzione deve contenere l'esposizione delle ragioni che giustificano la domanda con specifico riferimento alle modalità e alla durata dei fatti, nonché al comportamento dell'imputato successivo al reato, indicando il danno non patrimoniale determinato dai fatti esposti.

Conclusioni

Il delitto di revenge porn rappresenta una delle manifestazioni più insidiose della violenza di genere nell'era digitale, configurandosi come un fenomeno criminale che aggredisce simultaneamente diversi beni giuridici fondamentali della persona. L'analisi condotta evidenzia come l'articolo 612-ter del Codice Penale abbia fornito una risposta normativa articolata e complessa, capace di adattarsi alle diverse modalità attraverso cui può manifestarsi questo tipo di violenza.

La volontà di umiliare emerge come elemento psicologico centrale del fenomeno, rivelando la natura profondamente lesiva della dignità umana che caratterizza questa forma di criminalità. L'umiliazione della vittima non costituisce un effetto collaterale della condotta, ma rappresenta spesso l'obiettivo principale perseguito dall'agente, che utilizza la diffusione di contenuti intimi come strumento di degradazione e controllo. Questa finalità umiliante si inserisce in dinamiche di potere tipiche della violenza di genere, perpetuando forme di dominio e possesso anche dopo la fine delle relazioni sentimentali.

Il rancore come motore dell'azione criminosa rivela la dimensione emotiva e vendicativa del revenge porn, distinguendolo da altre forme di diffusione illecita di materiale sessualmente esplicito. Il sentimento di risentimento e vendetta che alimenta la condotta si radica nella difficoltà dell'agente di accettare la fine di una relazione o il rifiuto da parte della vittima, trasformandosi in desiderio di infliggere sofferenza attraverso la violazione della sfera più intima della persona. Questa dinamica evidenzia la concezione possessiva e strumentale della relazione che caratterizza molti autori di revenge porn.

L'elemento psicologico del dolo specifico di nocumento, richiesto per la fattispecie del secondo comma, rappresenta uno degli aspetti più complessi della disciplina normativa. La giurisprudenza ha chiarito che questa finalità di danneggiamento non è esclusa dalla presenza di obiettivi ulteriori, quando il nocumento costituisca lo strumento necessario per raggiungere il fine ultimo perseguito. Questa interpretazione consente di ricomprendere nella fattispecie anche i casi in cui la diffusione sia motivata da finalità apparentemente diverse, come il desiderio di riallacciare una relazione o di ottenere vantaggi economici.

La natura plurioffensiva del delitto emerge chiaramente dall'analisi dei beni giuridici tutelati, che comprendono la libertà di autodeterminazione sessuale, la privacy, l'onore, la reputazione e la dignità personale. Questa molteplicità di interessi protetti riflette la complessità del fenomeno e la sua capacità di aggredire diversi aspetti della personalità umana, con conseguenze spesso devastanti per la vita sociale, professionale e psicologica delle vittime.

L'orientamento giurisprudenziale consolidato ha fornito indicazioni chiare per l'applicazione pratica della norma, chiarendo aspetti interpretativi fondamentali come la distinzione tra consenso alla realizzazione e consenso alla diffusione, la configurabilità del reato anche in assenza di riconoscibilità della vittima, la struttura differenziata dell'elemento soggettivo nelle due fattispecie previste dalla norma. Questi principi garantiscono uniformità nell'applicazione della legge e ampliano significativamente l'ambito di tutela offerto alle vittime.

Le aggravanti previste dalla norma riflettono la particolare attenzione del legislatore verso le situazioni di maggiore vulnerabilità della vittima e verso le modalità di commissione del reato che comportano un incremento del disvalore della condotta. L'aggravante della relazione affettiva riconosce la particolare gravità del tradimento della fiducia, mentre quella dell'utilizzo di strumenti informatici tiene conto della potenziale amplificazione illimitata degli effetti dannosi derivante dalla diffusione digitale.

Gli aspetti probatori e processuali del delitto presentano peculiarità significative che derivano dalla natura digitale del fenomeno e dalla particolare vulnerabilità delle vittime. La giurisprudenza ha sviluppato orientamenti specifici per affrontare le problematiche probatorie, fornendo indicazioni operative per la corretta gestione del procedimento penale e per la tutela della dignità delle vittime durante il processo.

L'evoluzione del fenomeno del revenge porn richiede un costante adattamento degli strumenti normativi e interpretativi alle nuove modalità di manifestazione della violenza digitale. L'introduzione dell'articolo 612-quater del Codice Penale sulla diffusione illecita di contenuti generati con intelligenza artificiale rappresenta un ulteriore passo verso una tutela più completa contro le nuove forme di violenza tecnologica.

La prevenzione del revenge porn richiede un approccio multidisciplinare che coinvolga non solo il sistema penale, ma anche l'educazione, la sensibilizzazione sociale e lo sviluppo di strumenti tecnologici per la protezione della privacy. L'articolo 144-bis del Codice della Privacy ha introdotto strumenti di tutela amministrativa che consentono interventi rapidi per la rimozione di contenuti illecitamente diffusi, complementando la tutela penale con misure di carattere preventivo.

In conclusione, il revenge porn rappresenta una sfida complessa per l'ordinamento giuridico, che richiede strumenti normativi adeguati, interpretazioni giurisprudenziali evolute e un approccio culturale che riconosca la gravità di questo fenomeno come forma di violenza di genere. La volontà di umiliare e il rancore che animano questa condotta criminosa rivelano la necessità di interventi non solo repressivi, ma anche educativi e culturali, finalizzati a promuovere una concezione rispettosa e paritaria delle relazioni interpersonali e della sessualità.

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